di Luca Garosi
«Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?» è la famosa frase che Renzo Tramaglino dice a Don Abbondio, quando il curato tenta di convincerlo che ci sono degli impedimenti al matrimonio del giovane con Lucia Mondella. Mi è ritornata in mente questa celebre parte dei Promessi Sposi leggendo l’ultimo libro di Paolo Pileri: “100 parole per salvare il suolo” edito dalla casa editrice Altreconomia.
Per l’autore la lingua dell’urbanistica è diventata una “lingua straniera”, non solo ma ha ben 8mila dialetti, tanti quanti sono i Comuni d’Italia. In Italia ogni Regione ha la sua lingua definita dalla propria legge urbanistica. Al di sotto delle Regioni poi ci sono i Comuni, ognuno con il proprio piano. Si è creata una separazione – spiega Pileri – tra chi amministra localmente e chi è amministrato. Tra chi detiene le chiavi del lessico urbanistico e chi se ne disinteressa o non lo riesce a comprendere. Tra i due gruppi c’è incomunicabilità, perché non parlano la stessa lingua. Questo crea anche un altro problema: chi conosce la “lingua straniera”, se non è in buona fede, potrebbe anche avvantaggiarsi di questa conoscenza.